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Un fenomeno imprevisto, eppure atteso
I nuovi movimenti laicali
Hans Urs von Balthasar
Titolo originale
Un fenomeno imprevisto eppure atteso
Ottieni
Dati
Lingua:
Italiano
Lingua originale:
ItalianoCasa editrice:
Saint John PublicationsTraduzione:
Rosanna LeviAnno:
2022Tipo:
Articolo
Fonte:
Trenta Giorni 4/3 (1986), 54–55
Le modalità d’intervento dello Spirito Santo in un determinato tempo sono imprevedibili. Tuttavia si può sperare ed attendere che esse siano corrispondenti al bisogno spirituale di un dato tempo e della Chiesa che vive in esso. Così anche i carismi sbocciati oggi nell’ambito dei movimenti laicali, come in altri campi della Chiesa, sono imprevisti come nel passato, ma si possono indicare senz’altro le ragioni per le quali sono sorti proprio ora.
Anche se alcuni di essi hanno avuto i loro inizi prima del Concilio Vaticano II, l’immagine di Chiesa data da questo ha senza dubbio fortemente influenzato il loro sviluppo: l’idea – senz’altro solo presunta – che la perfezione cristiana fosse riservata allo stato religioso, che il laico nel mondo si dovesse accontentare di una forma secondaria di essere cristiano, è crollata per la decisa dichiarazione, genuinamente evangelica, che tutti i cristiani sono chiamati allo stesso modo alla santità; quelli che vivono e lavorano nel mondo non meno che i religiosi e i sacerdoti, gli sposati non meno che i celibi. Si deve probabilmente a questo principio programmatico se i cristiani che aspirano alla perfezione non aderiscono più con la stessa assiduità di un tempo ad un Terz’Ordine per partecipare in qualche modo al carisma del Primo e del Secondo, ma si pongono nella Chiesa in forme a sé stanti, anche se poi si orientano verso una determinata spiritualità religiosa. Talvolta si è potuto perfino osservare, in opposizione al passato, che i nuovi movimenti laicali hanno influenzato in modo decisivo certe comunità religiose e sono stati in grado di ringiovanirne lo spirito.
In questo contesto si può segnalare un secondo punto che è collegato con certe tendenze dell’ultimo Concilio: il suo aggiornamento nel migliore e nel più ecclesiale senso della parola, cioè la riscoperta e la riconsiderazione della originaria missione della Chiesa nel mondo secolare, proprio ora, in un mondo nuovo e per la Chiesa doppiamente problematico a causa della sua secolarizzazione e tecnicizzazione. Sulla linea di questo orientamento verso l’apostolato comune della Chiesa è ovvio che il Concilio si sia rivolto espressamente ai laici ed abbia ricordato la loro più che mai indispensabile opera di mediazione fra mondo e Chiesa. Da un punto di vista interno alla Chiesa, si possono considerare la gerarchia, che ne forma la struttura, e il servizio costruttivo del ministero, indispensabili oggi più che mai; l’intima speranza della Chiesa nell’efficacia del suo apostolato può poggiare sulla preghiera, sulla penitenza, sull’impegno degli ordini religiosi, oggi come non mai: ma per la mediazione col mondo, riconosciuta come necessaria, per la inculturazione del fatto cristiano nelle strutture e nelle correnti di pensiero del mondo, i laici sono stati incontestabilmente posti, dal programma della costituzione dogmatica sulla Chiesa (Lumen Gentium) e dalla costituzione pastorale sui rapporti fra Chiesa e mondo (Gaudium et Spes), in un vero posto centrale. La loro posizione era già sempre stata in questo essere «fra», così che per loro il Concilio non ha provocato nessuna crisi di identità come per esempio per taluni ordini religiosi, che erano sì già apostolici, ma pensavano di doversi procurare un nuovo volto mediante l’avvicinamento al mondo, mediante forme di secolarizzazione; come, su ampia scala, è avvenuto anche per il sacerdote che, scoprendo una certa distanza della sua vocazione dal mondo, ha creduto di dover compiere tentativi di «adattamento al mondo» spesso eccessivi e forzati. La forte crisi ecclesiale seguita al Concilio, che fu, da un lato, una crisi di secolarizzazione e, da un altro, una crisi di comprensione dell’autorità nella Chiesa, ha toccato la situazione dei sacerdoti e degli ordini religiosi, fin nella loro teologia, in modo incomparabilmente più forte che non la situazione dei laici, i quali non avevano nessuna ragione di riflettere e di «re-interrogarsi» sulla propria identità. Questa differenza si riflette molto chiaramente e molto concretamente, fino agli anni più recenti, sul comportamento ecclesiale delle categorie ricordate: le contestazioni interne alla Chiesa partono in prevalenza da sacerdoti e da religiosi e riescono talvolta a far entrare nella loro problematica anche determinate cerchie di laici. I movimenti ecclesiali che qui consideriamo – lo si può ben dire – sono del tutto immuni dagli attacchi febbrili di queste proteste: sono ecclesiali in modo naturale, senza pregiudizi, sono docili, anche se non servili, alla guida gerarchica della Chiesa.
Si può ancora addurre una terza ragione di opportunità dei nuovi movimenti laicali nati da specifici carismi. In un periodo di transizione la gerarchia aveva riconosciuto con lungimiranza la necessità di riconoscere ai laici la loro funzione di mediazione con il mondo, ma aveva legato questa funzione fortemente alla gerarchia, come se lei sola – e non la totalità della Chiesa – fosse responsabile dell’evangelizzazione del mondo. Così avvenne che associazioni laicali, promosse con zelo dalla Chiesa, avessero all’inizio la possibilità di dispiegare un’azione molto considerevole; ma con gli anni questa azione diminuì sensibilmente e le strutture erette un tempo poterono essere conservate in vita dalla Chiesa soltanto con una «spinta» artificiosa.
Da quanto detto appare in una luce nuova il ruolo dei laici nella Chiesa. Poiché oggi più che mai è in ballo la competenza professionale nei numerosi e assai complessi problemi che occupano l’umanità a livello mondiale. Problemi concernenti non solo lo sviluppo, ma la pura sopravvivenza nel prossimo futuro, spingono i laici, che uniscono una tale competenza con un genuino senso cristiano, in prima linea anche nell’impegno missionario della Chiesa. Un tempo i sacerdoti potevano occupare questo primo posto in qualità di impegnati annunciatori della fede e questo loro ruolo in molti paesi di cultura più semplice è ancora incontestato. Tuttavia anche in questi paesi si fanno strada gli influssi della civiltà tecnica ed economica mondiale, che portano con sé problemi che interpellano di nuovo lo «specialista», il laico.
Le norme e i tentativi di soluzione offerti dalla fede e dalla teologia per i problemi dell’umanità sono certamente fondamentali e vincolanti sia per i laici cristiani che per il resto dell’umanità non cristiana. Ma sarebbe presuntuoso per il clero e per i teologi voler essi stessi guidare l’applicazione nelle sfere economiche, politiche e culturali dei principi della fede. Per affrontare la pressante richiesta di un’adeguata soluzione dei problemi economici e dell’inurbamento dell’America Latina – per fare solo un esempio fra molti – sono competenti solo laici che hanno una formazione specializzata e in nessun modo dei teologi. L’esempio scelto non vuol trascurare gli innumerevoli campi di azione nei quali spesso mancano disperatamente laici cristiani competenti: citiamo ad esempio il campo del giornalismo, quello dei mass-media, dei problemi ecologici, dell’impegno politico ecc. Qui vengono prese le decisioni importanti per la sopravvivenza e il progresso dell’umanità.
Con tutto ciò non si devono in alcun modo trascurare due cose: primo, l’impegno silenzioso e nascosto di numerosi laici ai quali non è dato di stare in quei posti dove si prendono le decisioni che determinano la cultura mondiale; costoro costituiscono l’indispensabile retroguardia che solo rende possibile il farsi avanti di un singolo dotato di talento e di responsabilità piena. Essi possono venire solo da famiglie in cui sono stati formati a un tale comportamento responsabile dalle madri e dai padri, dai fratelli e dai maestri. Tutti gli strati sociali e professionali devono essere penetrati dal lievito di cristiani coraggiosi e sicuri della loro fede.
Questo – ed è la seconda cosa – richiede a sua volta la presenza efficace di sacerdoti ben istruiti, che vivano e annuncino in modo convincente la fede, siano essi diocesani o regolari, come pure la preghiera e la rinuncia di numerosi contemplativi che vivono in un parziale o totale nascondimento. Il chiaro messaggio di Lisieux a tal proposito conserva questa piena attualità. Dall’intima spinta della preghiera d’immolazione l’impulso giunge all’esterno, nelle file più estreme, dove si combatte per la fede e per la sua influenza negli ambiti propri del mondo.
Certamente vi sono singole personalità che hanno la possibilità di unire il sacerdozio con una professione secolare. Ma, generalmente parlando, questo legame potrebbe aver senso solo in un campo di interesse mondano dove fosse richiesto un impegno specificamente o prevalentemente sacerdotale, come ad esempio è stato ed è il caso dei preti operai. Nel complesso però, queste rimangono eccezioni mentre il caso normale rimane il modello di un laico consigliato nei problemi religiosi da un sacerdote esperto.
Le associazioni dei laici cristiani sono sollecitate oggi da questa visione della situazione del mondo: tali associazioni devono essere determinate e strutturate dal compito di mediazione dei laici che si impone in modo sempre più pressante. Con questo non si vuol dire che tipi di associazione del passato a pura finalità religiosa – si pensi alle «Congregazioni mariane» fiorite tra il 17° e il 19° secolo – siano diventati oggi privi di senso; ma essi sono da integrare con nuovi movimenti laicali che più consapevolmente portino il loro impulso religioso nei rispettivi campi di lavoro.
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