Questo studio su Gregorio di Nissa, che forma un trittico con le monografie dedicate da Balthasar a Origene e a Massimo il Confessore, si inserisce nel movimento di «ritorno alle fonti» che ha segnato la teologia del XX secolo – la riscoperta, pochi decenni dopo il revival tomistico di fine Ottocento, degli scritti dei Padri della Chiesa, in particolare dell’Oriente cristiano.

È a Fourvière, il centro di studi della Compagnia di Gesù a Lione, che negli anni ‘30 il giovane Hans Urs von Balthasar, con compagni del calibro di Jean Daniélou e Jean Varillon, sotto la guida di Henri de Lubac si è immerso nel mondo dei Padri della Chiesa. A spingere questo gruppo non era tanto la volontà di trovare delle risposte dirette alle questioni della Chiesa nel mondo moderno, alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Si trattava piuttosto di far risuonare di nuovo la voce della nostra giovinezza, le parole e il timbro di voce della Chiesa ai suoi inizi. E in questo saggio su Gregorio di Nissa Balthasar si è messo all’ascolto di un pensiero filosofico che aveva già colto ciò che i moderni, con Heidegger, avrebbero riconosciuto come lo specifico dell’essere, al di là dell’essenza: la presenza. Ora, in Gregorio la presenza dell’essere finito si apre sin dall’inizio alla presenza dell’essere infinito. Così la filosofia del Nisseno può definirsi una «filosofia religiosa». Ma se Gregorio non ha sistematizzato il suo pensiero, Balthasar ha raccolto per il lettore moderno tutti gli elementi che erano sparsi nei suoi trattati e sermoni, riposizionandoli in un percorso circolare che comincia con la «filosofia del divenire e del desiderio», continua con la «filosofia dell’immagine», e sbocca finalmente in una «filosofia dell’amore».