«In tempi in cui la Chiesa era in pericolo, tempi addirittura di devastazione, Massimo il Confessore fu non solo il più audace pensatore sistematico della sua epoca, ma anche una inattaccabile colona della Chiesa, in virtù dell’influenza che esercitò come monaco, consigliere e autore spirituale, come santo, e finalmente in virtù della morte da martire (con papa Martino I) per la sua fedeltà al dogma di Calcedonia. La sua opera, in tutte le sue dimensioni, ha per forma interiore la sintesi, e non solo per il suo consapevole sforzo in questa direzione – uno sforzo coronato dal successo –, bensì, al di là di questo, in virtù del suo kairòs storico: tra Bisanzio, Africa e Roma, tra patristica e medioevo bizantino e carolingio, anzi – nell’ultima battaglia cristologica, di cui fu davvero lui a decidere le sorti – tra la teologia e la spiritualità dell’Oriente e quella dell’Occidente». Così Hans Urs von Balthasar presenta il personaggio cui è dedicata questa ponderosa monografia, che ha fatto epoca nella riscoperta di Massimo e dei Padri greci in generale. Una prima versione era uscita nel 1941, nella stagione dei grandi studi patristici dell’allora gesuita; l’edizione 1961, profondamente riveduta, integra due ulteriori saggi, e la traduzione tedesca di due scritti del Confessore, la Mistagogia e le Centurie sulla carità.

Ad affascinare von Balthasar fu certo l’originalità con cui Massimo integra le correnti della patristica greca in una sintesi aperta al futuro; «ma più ancora che il pensiero di questo santo», come lui stesso afferma in un resoconto autobiografico (in Il nostro compito), «mi ha impressionato il suo itinerario personale: il fatto che ancora una volta, dopo Atanasio, un uomo solo sia riuscito a difendere la cristologia ortodossa contro tutto l’impero; il fatto che lui, un bizantino, si sia associato a papa Martino I a Roma e alla fine abbia subito con lui il martirio per la vera fede. In lui quell’unità che caratterizza tutta l’epoca patristica tra dottrina e vita, anzi tra la più sottile speculazione intellettuale e la mistica, culmina con un martirio guardato in faccia con decisione e sobrietà. Guardando a lui si può cogliere all’interno della Catholica ciò che Kierkegaard ha inteso con la sua idea del “singolo”».