Il saggio di Balthasar (del 1956, ripubblicato come vol. VII dell’edizione dei suoi primi scritti) si muove nell’ambito concreto determinato dalla tensione fra tre poli: scienza, religione e cristianesimo. In tutti questi ambiti l’uomo – in sé e nel cosmo – si presenta come un essere senza dimora e senza protezione, e che è in grado di modificare il suo ambiente per mezzo della tecnica.

È un essere isolato, e apparentemente può solo risolvere la domanda circa sé stesso nella forma di un’antropologia autonoma, oppure rabbrividire di fronte all’impenetrabilità dell’universo; ma in realtà è proprio la sua posizione di isolamento a rinviarlo a un Dio eterno: perché non c’è alcuna sicurezza nelle realtà esteriori – né nelle leggi calcolabili del cosmo, né nelle meraviglie della natura –, e neppure alcuna sicurezza nella propria interiorità – messi in discussione dalla psicologia del profondo, dall’etnologia, dalla storia, dalla sociologia e dalla medicina, tutti i contenuti e i valori di questa sfera si sono fatti enigmatici e sospetti! L’uomo si vede esposto a forze che lo consegnano, ormai del tutto impotente, ai sistemi totalitari che lui stesso ha creato.

A questa mancanza di sicurezze, a questo essere senza dimora dell’uomo, Balthasar risponde con un’intuizione fondamentale: se è vero che l’uomo è costretto a ripiegarsi su sé stesso, questo porta con sé un cambio di paradigma che permette di dare un senso cristiano a diverse posizioni spirituali dell’uomo contemporaneo.