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Abbattere i bastioni
Sulla Chiesa nel nostro tempo
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Era il 1952 quando questo pamphlet, che ha per sottotitolo «Sulla Chiesa del nostro tempo», fu pubblicato per la prima volta; e la sua tesi fondamentale – «la Chiesa non dev’essere trincerata contro il mondo» – poteva suonare come una provocazione. È in effetti un programma audace, che mira a una nuova comprensione della cattolicità nel segno di una «sempre più profonda e più seria incarnazione» della Chiesa nel mondo, in una paradossale e misteriosa solidarietà con tutto il genere umano. Strumento della trasmissione della salvezza al mondo, la Chiesa dispersa in mezzo ad esso è chiamata a essere lievito; e se ormai il cristiano deve muoversi col mondo che si muove, e non può più accontentarsi di «contemplarlo da un’altissima specola restando immobile», tantopiù una nuova responsabilità incombe a ogni singolo: «oggi nella Chiesa scocca senza dubbio l’ora dei laici».
Si capisce come in queste pagine si sia voluta leggere un’anticipazione della linea dell’aggiornamento conciliare. In realtà, ricorda l’autore, «l’opera ha tutt’altra origine, attingendo la sua ispirazione dall’idea dell’universalità della salvezza [...]: una concezione sostenuta da Origene, Erich Przywara, Henri de Lubac e Karl Barth, e le cui linee fondamentali si delineavano già nel concetto di missione di Adrienne von Speyr applicato alla Chiesa in quanto inviata nel mondo e aperta ad esso» (Il nostro compito. E altrove («Rendiconto 1965», in La mia opera) il teologo si smarca dalle etichette e dalle false dialettiche (negli anni difficili del postconcilio, c’era chi gli rinfacciava di aver ritrattato le sue tesi più audaci per passare a posizioni «conservatrici») riportando lo sguardo al centro del mistero cristiano creduto e vissuto: «Il libriccino programmatico Abbattere i bastioni fu l’ultimo, e già impaziente, suono del corno per incitare la Chiesa a smetterla di trincerarsi contro il mondo; e non risuonò inascoltato, ma d’altra parte costrinse a riflettere lo stesso suonatore. Perché non è che non lo sapessimo: l’apertura al mondo, l’“aggiornamento”, l’allargamento dell’orizzonte, la traduzione del patrimonio cristiano in una lingua e in concetti comprensibili al mondo di oggi è solo la metà del cammino. Ma l’altra metà è almeno altrettanto importante. Solo centrarci sullo stesso mistero cristiano, purificare e approfondire e mettere a fuoco l’idea fondamentale, mirare al vero centro, ci rende poi capaci anche di sostenere in modo credibile il cristianesimo, di irradiarlo e di tradurlo. […] Gli ultimi dieci anni l’hanno mostrato con chiarezza inesorabile: il più dinamico programma cristiano di apertura al mondo resta unilaterale (e diventa perciò estremamente pericoloso) se non sviluppa con sempre maggiore consapevolezza anche l’altro lato – che è la condizione necessaria per conseguire un vero equilibrio: chi vuole più azione ha bisogno di una contemplazione migliore; chi vuole incidere di più, deve ascoltare e pregare più profondamente; chi vuol raggiungere più obiettivi deve capire la gratuità “inutile”, l’aspetto non redditizio e incalcolabile dell’amore eterno in Cristo, e di conseguenza anche in ogni amore cristiano. [...] Nel programma della missione verso il mondo era insito a priori ciò che Guardini ha chiamato la “differenza cristiana” […]. Perciò un motto programmatico per la Chiesa di oggi che sia autentico e senza riduzioni, se non vogliamo ciò che l’avvelena si imponga dappertutto e definitivamente, deve suonare così: il massimo di irradiazione nel mondo attraverso la più immediata sequela di Cristo».
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