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ALL’EDITORE JAKOB HEGNER PER IL SUO SETTANTESIMO COMPLEANNO
HANS URS VON BALTHASAR
All’editore Jakob Hegner per il suo settantesimo compleanno
Hans Urs von Balthasar
Jakob Hegner
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Temi
Dati
Lingua:
Italiano
Lingua originale:
TedescoCasa editrice:
Saint John PublicationsTraduzione:
Comunità San GiovanniAnno:
2022Tipo:
Lettera
l’impegno di portare fin nel mondo più mondano un cristianesimo senza sconti e compromessi è anche il mio; e da questo impegno vengono le riflessioni che le sottopongo sulla posizione di «soglia» in cui si trova la Sua editrice [anche Lei avrebbe potuto battezzarla «Editions du Seuil»], e sull’ethos che deve animarla. Tutte le questioni del cristianesimo nel nostro tempo, nessuna esclusa, si sono d’improvviso come raccolte attorno a me ed esigono una risposta: come può il cristiano riuscire a mettere in comunicazione cristianesimo e mondo senza considerare il cristianesimo come una parte, benché importante, del mondo, e d’altra parte senza mettere sé stesso nel mezzo ergendosi ad arbitro tra le due realtà? È evidente che il cristiano deve portare «fuori», nel mondo, le ricchezze interiori del cristianesimo, e anche che lo deve fare in una forma comprensibile a quelli di fuori; è inoltre evidente che egli ha anche il compito di portare «dentro» le realtà del mondo di fuori, per svegliare quelli che dentro dormono. Meno facile è ottenere senza scivolosi compromessi di essere riconosciuto da quelli di fuori come di rango pari al loro, e possibilmente di esercitare un ruolo di guida, evitando per giunta la diffidenza e le gelosie di quelli di dentro. Che gli scrittori, anche quelli spirituali, debbano essere mondani, glielo ha ricordato Hölderlin, e per gli editori vale lo stesso motto; e il paradosso rimarrà vita e sale della terra fintanto che entrambi, lo scrittore e l’editore, resteranno coscienti che la loro fonte è la realtà spirituale: è dalla forza dello spirituale che essi devono essere mondani; dalla sovrabbondanza della contemplazione divina, come dicevano gli antichi, devono scaturire le azioni, senza più, a quel punto, temere le famigerate «mani sporche» del lavoro, senza arrestarsi troppo presto sulla via verso le terre desolate, magari per il panico di essersi allontanati troppo dalla fonte. Finalmente, occorre anche coniugare due cose, la «divinazione» cristiana e quella mondana – ovvero il discernimento degli spiriti come solo un cristiano può averlo, e il fiuto, l’intuito, il naso; coniugarli, dico, non scambiare l’uno per l’altro. Non mettere l’uno al posto dell’altro. La grazia vuole congiungersi a una base di doti naturali; e colui che, autore o editore, ha da essere il punto di questo delicato incontro, perché questo è assegnato proprio a lui come un destino, stia bene attento, lui che crede di stare in piedi, a non cadere. Le doti naturali le ha ricevute come un talento, per farlo fruttare; la grazia non è invece mai un talento che si possa affidare ai banchieri o sotterrare: ogni giorno di nuovo va implorata, ricevuta e vissuta. E però in un simile destino le due cose sono così unite che, se la seconda fosse trascurata, anche la prima ne sarebbe senza dubbio compromessa. Come cristiani possiamo senz’altro complimentarci a vicenda per la bellezza del compito ricevuto e per ciò che Dio ci ha permesso di fare svolgendolo: e guardandoci alle spalle, nel giorno della festa definitiva, quanto abbiamo fatto non ci parrà del tutto vano. Nella trasfigurante gioia di questa vista ci si allarga il cuore, e siamo pronti a rimettere tutto a Dio, anche il giudizio che separerà, in ciò che abbiamo fatto, il grano dalla pula. Questa inafferrabile restituzione, questo sciolto rimetterci nelle mani di Dio, è forse quanto di meglio possiamo fare nella nostra vita. «Il bene, nel complesso, peserà di più»; così è parso a Goethe, e perché non dovrebbe parere anche a noi, cui è dato di mettere l’opera della nostra vita nelle mani della grazia che tutto trasforma? A queste mani La raccomanda oggi il Suo
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