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La vita monastica oggi
Hans Urs von Balthasar
Titolo originale
Monastisches Leben heute
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Temi
Dati
Lingua:
Italiano
Lingua originale:
TedescoCasa editrice:
Saint John PublicationsAnno:
2023Tipo:
Contributo
Fonte:
G. Meiattini, Monachesimo e teologia. La triplice prospettiva di H.U. von Balthasar. Collana Balthasariana. Lugano: Eupress FTL, 2012, 137–142 (versione riveduta da G. Meiattini di una precedente traduzione: Collocazione della vita monastica nella Chiesa. Servitium 12 (1978), 135–142.).
Prima di poter rispondere alle domande poste,1 c’è da premettere alcune considerazioni fondamentali sull’essenza della vita secondo i consigli, per poterne determinare la posizione nella Chiesa odierna. Ciò che conta di più va anticipato.
1. Il significato della vita secondo i consigli, consiste nell’obbedienza alla chiamata di Cristo a lasciare tutto per seguire lui e il suo modo di vita, il quale però è funzione della sua missione: attraverso la povertà, la verginità e l’obbedienza, redimere il mondo. Anche se è vero che solo il Figlio di Dio, con la sua vita di abnegazione (con la sua passione come punto culminante), poteva redimere il mondo, tuttavia, per sua grazia, la chiamata alla sua sequela è una chiamata alla collaborazione alla sua opera redentiva. Questo significa: la vita secondo i consigli è nel suo senso originario soteriologica e, nel senso più lato del termine, apostolica. Questo vale, quanto meno, tanto per gli ordini strettamente contemplativi (Decreto sul rinnovamento della vita religiosa, n. 7), quanto per la vita attiva-apostolica, che senza contemplazione rimane sterile; e noi possiamo qui intendere per «contemplativa» ogni forma di vita che primariamente, senza tener conto della propria persona e del suo arricchimento, sviluppo, «perfezionamento», si consacra e si mette a disposizione del mistero redentivo di Dio in Cristo, in quanto rimette a Dio solo, senza fare calcoli, senza chiedere ricompensa e senza voler contare i successi, il frutto del sacrificio e l’impiego di questo. Non è il caso di fare differenza tra vita eremitica, condotta in solitaria penitenza e meditazione, e la vita in comunità, tra meditazione (della Scrittura) e lettura (della medesima), tra ufficio divino e «adorazione perpetua»: si tratta sempre della pura e disinteressata esistenza per Dio, per i suoi fini, per la sua glorificazione.
2. Insufficiente, anche se non sbagliata, è l’opinione, oggi in voga (e citata più volte anche nel Vaticano II), secondo la quale lo stato di vita secondo i consigli, sarebbe istituito come «segno escatologico», o «testimonianza», a guisa di una specializzazione concernente la trascendenza del termine ultimo della Chiesa, affinché i cristiani nel mondo si orientino a questo scopo e non si dimentichino, per una troppo esclusiva collaborazione alle opere dell’umanità, del cielo. Questa funzione attribuita allo stato di vita secondo i consigli, non corrisponde assolutamente alla funzione centrale che Cristo assegna a coloro che abbandonano tutto per il regno dei cieli, e che è, vista in profondità, non solamente signum (o testimonium), ma «signum efficax» (quindi sacramentum), della redenzione del mondo, presupposto, naturalmente, che il sacrificio totale del singolo, sia una vera dedizione di amore nello spirito di Gesù e di Maria a Dio, e alla sua opera di redenzione del mondo. Questo pensiero evangelico fondamentale, è stato più volte, nella millenaria spiritualità del monachesimo, incarnato con non sufficiente limpidezza, ed è stato nascosto con ogni genere di dottrine di perfezione e di schemi ascensionali (di ispirazione neoplatonica). Nella misura in cui aggiornamento deve essere, secondo l’esplicita volontà della Chiesa, «ritorno alle fonti» (*loc. cit. *2), si dovrebbe prima di ogni altra cosa mettere in luce questo e collocarlo nel centro.
3. Solo quando si sia fatto ciò può essere illustrata la vera posizione della vita secondo i consigli nella Chiesa: non (come può sembrare ad un primo esame esterno nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa) come una venerabile appendice alla dottrina della Chiesa come «popolo» di Dio (nella sua strutturazione di gerarchia e laici), bensì come presupposto portante, come «colonna» di tutto l’edificio. La Costituzione parla, in certo qual modo, in maniera fenomenologica, sociologica, ma dal momento che la Chiesa non è «un» popolo fra altri popoli, ma, dipendendo la sua essenza dalla persona storica di Gesù e dalla fondazione da parte di questi, il modo onticamente esatto di considerarla sarebbe per ciò stesso quello storico-genetico: la Chiesa è prima di tutto la stanza di Nazareth, Maria, e solo in Maria essa è realmente (non solo escatologicamente) «sposa senza ruga e macchia»: qui l’idea originaria della Chiesa è realtà assoluta. La Chiesa è successivamente la Chiesa di coloro che si sono messi alla sequela, di coloro che hanno lasciato tutto, che hanno obbedito integralmente; su di essi, quale fondamento e modello portante di vita, viene eretta la comunità post-pasquale. Dobbiamo quindi leggere la Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Vaticano II, se vogliamo comprendere teologicamente qualcosa, dal fondo verso l’inizio: ecclesiologia come mariologia, come apostologia, e, infine, come dottrina del «popolo» santo (con le funzioni di servizio dei chierici). Così si salvaguarda anche l’aspetto escatologico: la Chiesa è prima di tutto «sposa e consorte dell’Agnello», poi la città con le dodici porte con il nome degli apostoli, poi residenza per tutti gli eletti. In quanto Chiesa non è un popolo «astratto», ma una «sposa» concreta-reale (come concreto «corpo» nuziale), per questo essa è il dispiegarsi dall’uno (Cristo) ai due (nuovo Adamo – nuova Eva), ai Dodici, dietro ai quali stanno a loro volta soltanto dodici per ciascuno, e solo in seguito mille per ciascuno (12 x 12 x 1000). La funzione gerarchica viene affidata agli apostoli in quanto essi sono coloro che lasciano tutto. Pietro riceve definitivamente la sua missione, contemporaneamente alla richiesta dell’«amore più grande» e alla promessa e all’ordine della sequela fino alla croce reale (Gv 21,15-19). Per Paolo personalmente questo è ovvio; però, per chiarirlo, egli immagina il popolo edificato sul «fondamento degli apostoli e dei profeti (carismatici, santi)» (Ef 2,20; 3,5). La Chiesa non la si può democratizzare; essa sta e cade insieme a una gerarchia interna, la cui forma precisa la conosce d’altra parte solo Dio, poiché la formulazione di voti non è un criterio univoco di amore e santità personali. È però univoco che i consigli di Gesù intendono una santità qualificata (poiché solo l’uomo totalmente libero per Dio è totalmente disponibile per Cristo e la Chiesa, e capace di ricevere una missione).
Con ciò, dovrebbe apparire quanto vi sia di insufficiente (per quanto non sia sbagliato) nella teoria che vede nel chiostro monastico un (puro e semplice) modello della Chiesa. Lo è, certamente, ma è qualcosa di più ancora: è, assieme a tutte le altre forme della vita secondo i consigli, fondamento decisivo e «colonna» dell’una e unica Chiesa in se stessa.
4. Se la disponibilità di tutto l’uomo, che nello Spirito santo segue i consigli, per Dio e per l’opera divina di redenzione è essenzialmente amore cristiano (che non «cerca ciò che è suo»), essa è, in modo altrettanto essenziale, non solo la più alta forma di amore di Dio, ma anche di amore del prossimo. È secondario che questo amore del prossimo esternamente si esplichi o no in una, più o meno intensa, azione apostolica. La dedizione interiore di tutto il proprio essere in una vita di effettiva rinuncia, ai fini della redenzione del mondo, è quanto di meglio e di insuperabile un uomo possa dare al suo prossimo. Quanto dunque alla questione, se dei monaci debbano assumersi compiti più o meno apostolici, essa è una questione di discrezione, nella quale possono essere determinanti diversi punti di vista: ritorno (dov’è possibile) al carisma del fondatore, alla storia dell’ordine, adattamento dell’indirizzo di fondo dell’ordine al tempo odierno. Ma a proposito di questo adattamento, deve esser chiaro che le verità teologiche di fondo – in questo caso la fecondità apostolica della vita di rinuncia come tale – non possono soggiacere alla pur minima variazione, cosa questa che dobbiamo mettere ulteriormente in evidenza.
Oggi è di moda interpretare il comandamento dell’amore dato da Cristo (più o meno con riferimento a 1 Gv 4,20) così da fare dell’amore del prossimo la misura dell’amore di Dio, e questo tanto in quanto colui che ama il suo prossimo autenticamente e disinteressatamente ha, quale «cristiano anonimo», implicitamente l’amore di Dio, anche se egli è ateo. Ora, l’amore cristiano, grazie all’Uomo-Dio, è certamente in modo indivisibile l’una e l’altra cosa; e tuttavia la parola: «con tutto il tuo cuore», vien riferita primariamente solo a Dio, e nella incondizionatezza dell’amore per Dio sta essenzialmente [seinshaft] la misura per l’estensione dell’amore per il prossimo; l’inverso (voler misurare in maniera essenziale [seinshaft] l’amore di Dio dall’amore per il prossimo), equivarrebbe al capovolgimento dell’ordine delle cose, anche se può essere giusto, psicologicamente, che il disinteresse di un uomo lo si possa riconoscere dall’atteggiamento verso il suo prossimo. Ma lo scambio dei due punti di vista è oggi corrente, e, una volta preso sul serio, la sua conseguenza necessaria è di rovesciare la teologia in antropologia, la fede in un piatto umanesimo.
5. È oggi ampiamente in voga rappresentare la storia della vita secondo i consigli nella Chiesa, sotto forma di una linea che si svolge progressivamente (naturalmente in ascesa). Gli inizi sarebbero quindi proprio i più lontani dal vangelo, massimamente carichi di equivoci o anche di ingenuità (la supposta «fuga dal mondo»), e i gradini da Benedetto a Francesco e Domenico, da questi a Ignazio e finalmente agli istituti secolari, sarebbero progressive «liberazioni» (dalla costrizione di una osservanza alla libertà dell’amore, dal disimpegno dal mondo al genuino servizio cristiano del prossimo, l’essere con il prossimo), e «interiorizzazioni» o «spiritualizzazioni», nel senso della maturità personale della responsabilità apostolica. Queste, però, sono per la gran parte costruzioni arbitrarie, che trascurano la complessità dei dati del problema; poiché: a) la Chiesa non soggiace alle stesse leggi di sviluppo del mondo, i carismi di santità che lo Spirito santo le dona, hanno sì una relazione alla corrispondente situazione, ma non sono «contingenti» come gli ordinari avvenimenti storici, bensì sono in parte sovratemporali e in parte dotati di una soprannaturale capacità di rigenerazione (Benedetto! Bernardo! Francesco!). Per questo: b) non si tratta di una linea rettilinea di sviluppo, bensì di un dispiegarsi molteplice delle ricchezze di Dio, ogni volta grazie a un ritorno carismatico al centro dell’evangelo. Il più sorprendente carismatico e fondatore del nostro tempo, Charles de Foucauld, viene condotto nello stesso deserto in cui lo fu Antonio l’Egiziano; la piccola Teresa mostra l’attualità della pura contemplazione carmelitana; Ignazio di Loyola non ha per nulla ammorbidito la teologia dell’ubbidienza, ma l’ha semplicemente condotta alla sua totale profondità e radicalità soteriologica: e così, proprio questo fondatore, da molti, che si richiamano a lui per promuovere un aggiornamento in senso progressista, viene completamente frainteso, con conseguenze funeste. Chi, per esempio, vorrebbe passare dall’obbedienza a un superiore, che rappresenta Iddio, a una pura e semplice obbedienza a una massima di vita, a un ideale di esistenza cristiana nel mondo da lui stesso stabilito (forse con l’aiuto di un direttore spirituale), costui ha certamente oltrepassato i confini della vita secondo i consigli, per andare a finire in qualcosa d’altro.
Si lasci dunque che le comunità secolari cerchino nuove vie di penetrazione nel mondo scristianizzato (del resto è certo che le troveranno solo in un confronto il più serio possibile con la croce di Cristo), ma non per questo si ritengano sorpassate le altre forme di realizzazione della vita secondo i consigli. Qualora la rinuncia cristiana sia vissuta autenticamente per amore – inscindibilmente amore per Dio e per il mondo –, essa rappresenta sempre, per il mondo (e anche per i cristiani mondani), uno scandalo, ma sarà per esso anche di grande fecondità, di una fecondità della quale non si sentirà mai abbastanza la necessità.
In tal modo è posto il fondamento per rispondere alle domande che sono state poste.
1. La vita monastica, come una delle fondamentali forme storiche della vita secondo i consigli, ha un fondamento extratemporale, che come tale non può essere messo in discussione da nessun aggiornamento. Nucleo ne è non l’osservanza come tale, bensì un suo adempimento, che sia una evidenza vissuta, per il monaco stesso e per il mondo circostante, della sequela evangelica di Cristo. Le linee teologiche e spirituali che dalla regola e dallo spirito dell’ordine (e da tutte le sue tradizioni) rinviano indietro all’evangelo e perciò in avanti verso il nostro tempo, dovrebbero essere per ogni membro dell’ordine chiare, anzi si può dire: più chiare che mai. La teologia dei consigli va ripensata sempre di nuovo, oggi poi anche con gli strumenti della moderna esegesi. Abati, maestri dei novizi e direttori degli studi, dovrebbero, nei limiti del possibile, venire incontro ai giovani, quando costoro ricercano il fondamento biblico della vita monastica e vogliono che esso sia presentato loro. Non può sussistere nessun dualismo tra la spiritualità biblica e quella dell’ordine. Tutto nelle regole e nelle consuetudini deve poter esser reso intelligibile evangelicamente all’uomo d’oggi: al che si deve osservare che, a questi giovani, deve essere dischiusa anche la chiara, integrale esigenza dell’evangelo. Infatti essi, per lo più, vogliono impiegare se stessi soltanto là dove essi stessi possono vedere successi: ma Cristo durante la sua vita non ha visto nessun successo, e in ogni caso sempre di meno.
2. Che cosa aspetta oggi la Chiesa dai monaci? Precisamente questa trasparenza dell’originaria sequela (vita apostolica nel senso del medioevo) nell’osservanza. Essa deve ad ogni costo esistere, essere visibile per le persone di buona volontà, e deve essere accresciuta. Questo non significa: più apostolato esterno, bensì più spirito evangelico originario, che in qualche maniera si irraggerà al di là delle mura: attraverso una liturgia ben eseguita, attraverso la predicazione, attraverso scritti sensati, attraverso l’ospitalità, il parlatorio, in certe circostanze attraverso scuole o viaggi apostolici. E soprattutto attraverso lo spirito di fraternità monastica che deve irraggiare per ognuno, dentro o fuori del monastero, per quanto è possibile ininterrottamente, lo spirito dell’amore cristiano.
3. Bisogna accontentarsi del carisma che si è ricevuto, che non fa spicco sulle mura esterne della Chiesa, ma all’interno e, oggi, in un posto relativamente nascosto. L’aver scavato via e l’aver demolito tante tradizioni ecclesiastiche, che davano all’uomo un senso di sicurezza presso la madre Chiesa, mostrerà ben presto quale deserto interiore sorge di conseguenza, e quanto i cristiani cercheranno i luoghi ancora superstiti della preghiera tranquilla, personale e della guida veramente spirituale per le loro anime (lontano dal frastuono degli odierni slogan). Contatti con gli uomini di oggi dovrebbero rafforzare il monaco nella sua vocazione, in modo che egli venga, attraverso di essi, sospinto a un impegno spirituale più profondo, per presentare agli uomini un’immagine di Cristo più umile e più disinteressata. Di grande valore spirituale è la situazione d’umiliazione, che l’intero stato di vita sperimenta oggi nella Chiesa e nel mondo, anche per la mancanza di accrescimento, per la necessità di fondere insieme comunità, ecc. Ma non guasta che al popolo cristiano sia data la possibilità di vedere un cristiano non soltanto umile, ma anche umiliato: forse per esso è più importante questa immagine che il nostro più moderno clero up-to-date.
- Il presente contributo è apparso nel volume Visioni attuali sulla vita monastica, Montserrat 1966, nel quale furono raccolte, all’indomani del Concilio, le risposte di teologi, filosofi e uomini di Chiesa di varie confessioni cristiane alle tre domande a loro poste dai curatori della pubblicazione: «1. Quale concetto ha lei della vita monastica? 2. Che cosa pensa che la Chiesa si attenda oggi dai monaci? 3. Quali debbono essere, a suo giudizio, l’orientamento e i principali punti dell’aggiornamento monastico?» (p. 8). La preesistente versione italiana del testo originale tedesco (in Servitium 12, 1978, pp. 135-142), qui ripresa, è stata qua e là corretta ripristinando la divisione originaria dei paragrafi [N.d.R.].↩