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Parvulus datus est nobis
Hans Urs von Balthasar
Originaltitel
L’Épiphanie de l’Enfant
Erhalten
Themen
Technische Daten
Sprache:
Italienisch
Sprache des Originals:
FranzösischImpressum:
Saint John PublicationsJahr:
2024Typ:
Artikel
Quellenangabe:
Monastica 4 (Civitella S. Paolo/Roma, 1961), 2–6 (traduzione riveduta per questa edizione elettronica)
La Bibbia ci parla di un vecchio canuto e di una donna sterile che risero all’idea di avere un figlio. Ma chi di noi sa discernere in questa coppia l’inizio dell’itinerario di Dio verso gli uomini? L’Antico Testamento è ricco di uomini saggi e povero di fanciulli. Durante millenni le vie di Dio furono percorse da molti uomini sperimentati prima di arrivare al Bambino nel quale Dio stesso si incarna e si presenta alla terra. Il Bambino crebbe, predilesse i bambini, li diede in esempio ai secoli futuri e morì prima di aver raggiunto quarant’anni, termine assegnato dai Romani al pieno sviluppo virile. Di contro ai Giudei e ai pagani, fu il Cristianesimo a scoprire veramente la donna, e, con la donna, il bambino. Benché a nostro gusto alcuni paesi moltiplichino un po’ troppo le loro «Madonne con Bambino», messaggere di un Cristianesimo eccessivamente semplice e incompleto (non manca tuttavia l’immagine della Croce), la diffusione dello spirito cristiano nel mondo si fa più facilmente sotto l’insegna del bambino che sotto quella della croce.
Presso gli uomini adulti dell’Antico Testamento Dio riveste l’aspetto di un patriarca lontano che esige riverenza, e la faccia di Javé non presenta nessun lineamento infantile. L’Antica Alleanza è un patto tra adulti che si son giurati l’un l’altro fedeltà, perfettamente consci delle responsabilità che ne derivano.
Solo eccezionalmente troviamo in Osea parole piene di una nostalgia quasi romantica per una perduta età dell’oro, un paradiso inaccessibile: «Israele era ancora bambino e io già l’amavo» (Os 11,1).
Il fanciullo è impensabile come simbolo della realtà e della vita. E tuttavia egli si insinua già nel cuore di Sion, si annuncia in sordina nella pietà dei salmi, quando questi invocano l’abbandono fiducioso, l’asilo oscuro, la silenziosa pienezza sotto l’ala di Dio.
… il mio cuore non si gonfia d’orgoglio,
il mio sguardo non si fa arrogante.
Non cerco le grandezze
né le cose troppo elevate per me.
No: custodisco la mia anima nella calma e nella tranquillità.
Come un lattante sazio tra le braccia della sua mamma
così l'anima mia è in me.
Israele, metti la tua speranza nel Signore ora e per tutta l’eternità. (Salmo 131)
Interiormente, questa immagine ci orienta verso la verità. Quando il volto del bambino traluce nel patriarca, quando il servo di Dio diventa figliolo di Dio, la verità può essere raggiunta. A Natale, la nostra visione di Dio si trasforma, il Padre senza età si rivela un Dio che genera eternamente: «Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato» (Sal 2,7).
D’ora innanzi lo stato d’infanzia non è più la prerogativa esclusiva dell’umano, il dolce segno dell’età minore, ma uno stato divino e quindi insuperabile. Dio penetra nella forma di un destino umano soggetto al tempo, si manifesta e si esprime attraverso questo destino come l’anima spirituale attraverso il corpo e conferisce a tutte le fasi, a tutti i periodi della vita umana il senso visibile e definitivo dell’esistenza divina. Né i Giudei né i pagani potevano indovinare un tale mistero, perché il loro sguardo si fermava all’uomo. Quando l’infanzia non viene considerata esclusivamente come tirocinio della maturità, presso di loro essa appare comunque come un’epoca di non sviluppo in cui si ha l’obbligo di imparare, o come il tempo del gioco, senza consistenza di fronte alla vita. Ma da quando Dio stesso si è fatto bambino, questa parte della creazione è stata riabilitata per sempre ed è divenuta un’espressione perfettamente valida dell’essere divino, il simbolo preferito e singolarmente espressivo del suo cuore e del suo regno: «Se non diverrete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli».
Dio è giovane: quale novità! Dio ignora l’assuefazione a se stesso: come Padre, è la sorgente sempre rinascente che crea e si dà senza sosta, come Figlio è la risposta amorosa ed eternamente zampillante, e come Spirito è il ciclo infinito di amore che dà e di amore che riceve.
Senza questo vigore eternamente giovane dell’amore, di quali fili sarebbe intessuta la vita eterna? Che valore avrebbero la gioia e la felicità della nostra esistenza stessa?
L’assuefazione è un prodotto del tempo, non dell’eternità. Il bambino vede ogni giorno il mondo con occhi nuovi finché rimane vicino alla sorgente dalla quale è uscito e l’abitudine non ha oscurato il suo sguardo.
E noi, vecchi peccatori (ogni peccatore è vecchio, ogni peccatore conosce il tedio della vita e questo tedio è sempre indice di vecchiaia) possiamo per la grazia dell’eterno Bambino ridiventare bambini, anzi nascere di nuovo.
Incredibile mistero che solo un bambino può capire.
Quando il saggio e venerabile Nicodemo chiede al Signore come un uomo già vecchio possa rinascere, Gesù risponde: «Sei dottore in Israele e ignori queste cose? Non ti stupire se ti ho detto: dovete rinascere. Il vento soffia dove vuole, ma tu non sai da dove viene né dove va. Così è di ogni uomo nato dallo Spirito». Parole da fiaba che si crederebbero pronunciate per essere intese e credute solo da bambini. Nel regno incantato di Dio il soprannaturale appare sempre come la cosa più naturale.
Ma il Bambino dovrà morire sulla Croce e il pastore dare la propria vita per le pecorelle. La gravità di morte del Venerdì Santo esige da noi una mente matura capace di discernimento e non un carattere puerile. «Non siate bambini per quanto concerne il giudizio. Per la malizia, sì, siate bambini, ma per il giudizio siate uomini» (1 Cor 4,20).
Tuttavia, per l’adulto la difficoltà spirituale consiste nel credere invece di giudicare, nello sperare quando vorrebbe possedere, nell’abbandonarsi all’amore quando si sente capace di dominare. Per il bambino invece nulla di più naturale, di più facile. Per lui la fede, la speranza e l’amore, più che virtù, sono la vita stessa.
Il Bimbo divino ce lo ha mostrato e per il suo abbandono al Padre lo ha reso possibile. È difficile inventare un telefono o un radar, ma staccare il ricevitore, che bel gioco! Il Bimbo di Natale ha inventato la fede, la speranza e l’amore cristiano e mette la sua invenzione a nostra disposizione. Ne ha, per così dire, preso il brevetto e l’ha timbrato col suo sigillo. La tassa che esige è tuttavia molto tenue, essa ammonta, lo ripetiamo, a tre parolette sole: fede, speranza e amore.
Il volto del vero cristiano può coprirsi di rughe, ma la giovinezza del suo cuore lo contraddistingue tra tutti gli uomini. Esaminiamoci per sapere se possediamo questa impronta divina e se le nostre mani portano questa luce in mezzo agli uomini. Non chiedendoci superficialmente se possediamo la fede, se siamo in grado di fare un atto di fede. Chiediamoci invece, se ammettiamo e riconosciamo la fede che Dio ha posto in noi, se crediamo alla nostra fede, se vogliamo servirci del capitale e del viatico di cui siamo stati provvisti. Come siamo lenti a comprendere che, distinto dalle attitudini e dalle capacità naturali, esiste in noi un potenziale di valori da utilizzarsi a seconda dei nostri atti e dei nostri sforzi! La teologia ci parla in modo stranamente energico e insistente di virtù infuse, immesse come per mezzo di un imbuto nel ricettacolo dell’anima. Il vaso vuoto si è riempito, l’assenza di amore è stata colmata fino all’orlo di amore di Dio. Fede, speranza e amore, tutto quanto è cristiano dipende da questo imperativo categorico, che richiede tuttavia due condizioni: non attribuirsi i doni di Dio come se fossero opera nostra; farli fruttificare in noi. Questi doni non sono ricchezze morte che si depongono alla banca dell’eternità, ma i talenti del Vangelo che dobbiamo impiegare per restituirli raddoppiati.
Il miracolo dell’infanzia di Dio, sorgente di fede, di speranza e di amore, può conservarsi in noi soltanto se perseveriamo a rinascere figli di Dio, fortificati ogni mattina dall’eterna giovinezza del Signore, pronti ogni giorno a riprendere il cammino con Lui. Se a ogni aurora guardiamo Dio e il mondo con uno sguardo nuovo, nulla invecchierà, tutto si illuminerà di una giovinezza sempre rinnovata, di un significato più eterno. Vi è forse cosa più necessaria a questo nostro tempo così vecchio e stanco? La conoscenza scientifica invecchia. La psicologia rende insensibili e ottusi, si analizza l’imponderabile, l’uomo non ha più illusioni.
In realtà, la vita nel Cristo supera essenzialmente quella dell’universo psicologico perché il cristiano possiede l’elemento drastico che sfugge necessariamente allo psicologo: la fede, la speranza e l’amore di un figlio di Dio.